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“Sì, chef”: un ristorante sul binario dell’inclusione sociale

Malgrado il caldo afoso delle cinque di un pomeriggio di luglio, Bubacarr detto Buba e Ibrahim non vedono l’ora di indossare la divisa che li qualifica come appartenenti a tutti gli effetti alla brigata di cucina. E’ ancora presto, il ristorante aprirà alle 18 e si lavorerà fino all’una di notte, ma il loro entusiasmo è tanto e non vedono l’ora di cominciare. Al grido di “sì, Chef”, come nei migliori cooking reality, Ibrahim e Buba sono pronti a darsi da fare perché tutto sia pronto quando arriveranno i primi clienti. Ibrahim Barrie, un diciannovenne della Sierra Leone arrivato a Bologna due anni fa come minore non accompagnato, si infila il camice candido da aiuto cuoco. Bubacarr Camara, gambiano di 29 anni, sulla maglietta nera con il logo del ristorante allaccia in vita il grembiule che lo qualifica come cameriere. Se l’abito non fa il monaco, in questo caso la divisa sembra ricoprire un ruolo importante per sottolineare il senso di appartenenza e di inclusione. Far parte di una brigata di cucina fa sentire utili perché solo se tutti i componenti fanno la propria parte l’esito sarà soddisfacente. Appartenere a una squadra – come nello sport, in una redazione, in un equipaggio o, appunto, in una brigata – non fa sentire soli, né “stranieri”.

A tavola “Al Binèri”, in un polmone verde

Buba e Ibrahim sono due dei cinque richiedenti asilo inseriti in un progetto di ristorazione innovativo gestito dalla cooperativa sociale Arca di Noè. Siamo al Dopolavoro Ferroviario di Bologna, uno storico parco a ridosso del ponte di via Stalingrado sotto il quale scorre la ferrovia, nato nel 1925 per offrire occasioni ricreative e di aggregazione ai ferrovieri. Il ristorante che sorge nel cuore di questo polmone verde, negli ultimi anni sottoposto a opera di riqualificazione, non poteva che chiamarsi “Al Binèri”, il binario in bolognese. La scelta del dialetto strizza l’occhio ai residenti e agli abituali frequentatori del Dopolavoro Ferroviario, all’interno del quale c’è anche il cinema all’aperto dell’Arena Puccini; per il resto la scelta del nome vuole essere un po’ la metafora dell’apertura e dell’accoglienza: sul binario si transita e si sosta, c’è chi arriva e c’è chi parte, si può viaggiare soli o in gruppo ma si è sempre in tanti; sul binario si è tutti viaggiatori allo stesso modo.

Una brigata di 10 persone per un ristorante etico

La brigata di “Al Binèri” è composta da dieci persone, metà italiani e metà stranieri, cinque professionisti e cinque tirocinanti ai comandi dello chef Michele Trieste. Si tratta di un ristorante etico a 360 gradi perché non solo porta avanti un progetto di formazione lavoro per persone in transito o richiedenti asilo, ma anche perché gli alimenti utilizzati in cucina sono prodotti biologici e rigorosamente di stagione, a chilometro zero e provenienti da cooperative sociali del territorio. “Per noi è una sfida l’idea di portare avanti per tutta l’estate un ristorante etico sotto ogni profilo – dice Valentina di Arca di Noè, che per la coop si occupa della progettazione e collabora con l’ufficio orientamento e job placement nella ricerca di nuove modalità per l’inserimento dei richiedenti asilo –. Tra l’altro, siamo tra i soci fondatori di ‘Local to you’, un e-commerce che fornisce a domicilio prodotti biologici provenienti da cooperative locali. Sotto il profilo del beverage abbiamo invece rilanciato la birra artigianale Vecchia Orsa, che si può gustare al Binèri”.

 

 

“Faccio anche il volontario alla mensa della Caritas”

Per i cinque richiedenti asilo il tirocinio (regolarmente retribuito) è una vera scuola di ristorazione. “Chef Michele ci dice sempre di chiedere ciò che non conosciamo – spiega in ottimo italiano Ibrahim, uno dei due aiuto-cuochi –. Prima di cominciare ci ha mostrato tutto il menù, ci ha spiegato i nomi dei piatti e ci ha fatto vedere come si preparano. Ci sono alimenti che non avevo mai visto, come l’aceto balsamico, e tante parole della cucina italiana che non conoscevo, come carbonara, carpaccio, tagliata, tartare, parmigiana”. Per il momento Ibrahim si limita a eseguire i lavori più semplici, come pulire e tagliare le verdure, ma è volonteroso e non si tira mai indietro: “Quando non c’è il lavapiatti, mi occupo io di lavare le pentole”. Qualcosa ha già imparato ed è famoso per l’abilità nel preparare e cuocere gli hamburger. “Sono bravo anche a fare i dolci, come la panna cotta e il mascarpone”, dice compiaciuto. Racconta che in Sierra Leone ha imparato a coltivare la terra e che a Bologna ha potuto mettere in pratica la proprie competenze partecipando a un progetto fatto per gli ospiti di Villa Aldini, in collaborazione con “Horticity” e la facoltà di Agraria dell’Università. Tra i suoi programmi per il futuro c’è quello di prendere la licenza media. Da grande vorrebbe fare il saldatore, mestiere che già ha imparato, oppure continuare a lavorare nel mondo della ristorazione. “Mi piace tanto – conclude – Per questo faccio anche volontariato alla mensa della Caritas, sto in cucina a pulire le verdure e ad aiutare a preparare i pasti”.

I piatti di pesce il fiore all’occhiello

Al Binèri propongono piatti sia di carne sia di pesce, ma sono questi ultimi il fiore all’occhiello dello chef Michele Trieste, che è ligure. Insegna ai ragazzi a pulire il pesce e a tagliarlo in maniera corretta distinguendo tra un carpaccio, una tagliata o una tartare. Bubacarr per il momento fa il cameriere, ma non disdegna il lavoro davanti ai fornelli, visto che è una tradizione di famiglia. “Mio padre, in Gambia, fa il cuoco in un albergo – spiega – Io so cucinare i piatti del mio Paese e a volte li propongo ai miei amici. Quello che preferisco, nel menù africano, è il domadà, un intingolo fatto con patate, pomodori, carote, burro di arachidi e carne di agnello che si mangia come accompagnamento al cous cous”. Nelle sue intenzioni ci sarebbe quella di lavorare come saldatore, mestiere per il quale ha già ottenuto il patentino, ma finora non ha trovato un posto. “Ma qualsiasi lavoro per me va bene – dice – Purché mi permetta di poter continuare a vivere qua”. Intanto, muovendosi tra i tavoli come cameriere ha occasione di perfezionare la lingua. Capire le ordinazioni, che vengono raccolte da un collega italiano, e portare i piatti giusti a chi li ha richiesti è un ottimo esercizio.

“Qui al DLF anche per un’opera di rigenerazione urbana”

Con l’estate che entra nel vivo il ristorante gestito dalla cooperativa Arca di Noè è diventato un punto di riferimento per il parco. I prezzi sono moderati e molti vi si fermano per un aperitivo o per cenare dopo il cinema, il cui abbinamento permette di ottenere uno sconto. “Il parco del DLF godeva un po’ di cattiva nomea per le frequentazioni – conclude Valentina –. Noi siamo qui da tre anni e il nostro intento è anche quello di svolgere un lavoro di rigenerazione urbana. Il ristorante è un punto di forza per attrarre i bolognesi in una zona un po’ trascurata e per rivitalizzare questo polmone verde”.

Sono quasi le 18, è ora di portare fuori i tavoli e di apparecchiare, mentre in cucina si accendono i fornelli. Lo chef assegna a ciascuno il proprio compito e la brigata si ricompone. Su questo binario la sosta è d’obbligo, per ristorarsi e fare nuove amicizie, allargare lo sguardo sulla città e sul mondo.

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