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Modou, una nuova vita cucinando piatti tipici tedeschi

Modou esce sorridendo dalla cucina dove ha appena terminato il suo turno di lavoro quotidiano. Da fine dicembre 2018 sta svolgendo un tirocinio, della durata di un anno, alla birreria Löwengrube di Bologna. Si tratta di un locale che rivisita in chiave moderna le grandi birrerie bavaresi. “Sto facendo l’aiuto cuoco e il lavapiatti – dice -. Mi piace stare in cucina e imparare diverse cose. Col tempo sarebbe bello diventare uno chef, intanto sto scoprendo come cucinare piatti tradizionali tedeschi. Lavoro tutti i giorni sei ore, al mattino o alla sera, a seconda del turno. In cucina siamo in sette, io sono l’unico straniero e mi trovo molto bene con tutti”.

In fuga, senza punti di riferimento

Modou ha voglia di raccontare la sua storia, sia quella che precede il suo arrivo in Italia che quella più recente. Ha tante cose da condividere perché in poco più di 18 anni di vita gliene sono capitate infinite. E poche sono quelle felici. Molte gli sono accadute in un’età in cui non si hanno ancora gli strumenti per darsi spiegazioni, per comprendere il senso degli eventi, e purtroppo Modou non ha più nessuno che possa riempire per lui i vuoti biografici della sua infanzia. Così il racconto della sua vita “di prima” è fatto di tante sospensioni e incertezze, e di tante assenze incolmabili: quella dei suoi genitori, nel suo ricordo venuti a mancare in circostanze tragiche e misteriose in un Gambia sotto la dittatura; quella di una sorella rimasta in Africa ma che lui ritiene ormai di avere perduto; quella di parenti in Gambia che non ha mai conosciuto. Dopo la scomparsa dei genitori è iniziato per lui, ancora adolescente, un lungo e pauroso viaggio attraverso l’Africa, durato anni, che lo ha condotto fino alle coste della Sicilia. Un percorso casuale, senza un progetto, solo una fuga da ciò che non c’era più. “Quando nell’estate 2016 sono sbarcato in Sicilia – sintetizza in una frase – non sapevo nemmeno che esistesse al mondo un posto che si chiamava Italia”.

Il calvario del permesso di soggiorno

Dal 2018 è a Bologna, prima ospite per due mesi in un hotel e poi a Casa Merlani, struttura SPRAR/SIPROIMI per i minori non accompagnati. Poi ha vissuto insieme ad altri cinque ragazzi in un appartamento SPRAR gestito da CEIS ARTE cooperativa sociale, in via Libia, e ora in autonomia, contribuendo alle spese mensili, in un appartamento di transizione del Villaggio del Fanciullo. Da dicembre scorso Modou è maggiorenne e per molti mesi, raggiunta la maggiore età, ha dovuto combattere per il permesso di soggiorno. A novembre 2018, alla scadenza del permesso di soggiorno per protezione umanitaria, il servizio di assistenza legale di ASP che segue il suo caso, essendo Modou ancora minorenne, gli ha suggerito di richiedere alla Questura un permesso di soggiorno per minore età. A seguito dell’entrata in vigore del c.d. “Decreto Sicurezza”, infatti, il permesso per protezione umanitaria non è più rinnovabile come tale, essendo stata abolita la protezione umanitaria. Il permesso per “protezione speciale” che si può richiedere in sede di rinnovo della protezione umanitaria vale solo un anno e non è convertibile in un permesso per motivi di lavoro. A questa richiesta, ostacolata anche da un refuso sul decreto di apertura tutela, la Questura ha risposto che non era possibile richiedere un permesso per minore età, rinunciando alla protezione umanitaria già ottenuta. L’unica possibilità di conversione consentita dalla Questura, alla scadenza dell’umanitaria, è stata quella della richiesta di un permesso per motivi di lavoro. Insomma, un rovello kafkiano che per lunghi mesi ha tolto il sonno a Modou. Per fortuna ha potuto contare sul tirocinio formativo attivato a dicembre 2018 che gli ha consentito, a fine estate 2019, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, situazione assolutamente particolare perché normalmente l’Ufficio Immigrazione non equipara il tirocinio a un contratto di lavoro.

La prospettiva di un lavoro stabile

A prenderlo in tirocinio è stato Filippo Fochi, amministratore della società che gestisce la birreria Löwengrube e imprenditore che a Bologna e provincia gestisce anche quattro fast food della catena Burger King. Fochi ha già dato fiducia a diversi lavoratori immigrati con tirocini lavorativi, spesso poi seguiti da assunzione. Molti di questi, come Modou, vengono segnalati da CEIS tra i giovani più affidabili e con più desiderio di impegnarsi. “Ci fidiamo delle persone che ci vengono proposte – spiega Filippo Fochi -, l’unica richiesta che facciamo è che riescano a comunicare abbastanza bene in italiano, trattandosi di lavori in cui il contatto e l’interazione con il pubblico sono elevati. Impiegare tirocinanti immigrati, secondo quanto prevede la normativa regionale, per l’azienda comporta il vantaggio di non doverli computare nel conteggio totale dei tirocini possibili. Va detto però che, al contempo, c’è comunque un nostro investimento nell’attività formativa e noi poniamo molta attenzione agli aspetti sociali e a comportarci in maniera corretta verso tutti. Nei nostri ristoranti sono già assunti una ventina di lavoratori di origine africana, circa il 20% di tutti i nostri dipendenti. I giovani che lavorano con noi sono generalmente molto volonterosi e scrupolosi e non prendiamo mai qualcuno che poi non vorremmo inserire a tempo indeterminato alla fine del tirocinio. Questo è anche il caso di Modou, un ragazzo che dà soddisfazione a tutti e che si è integrato benissimo alla Löwengrube. Perciò, se tutto procederà come immaginiamo, non avremo alcun problema ad assumerlo con un contratto di apprendistato alla fine del 2019, una volta terminato il tirocinio”.

A Bologna la sua seconda vita

Modou è entusiasta del suo lavoro e della sua vita a Bologna. “Prima di iniziare questo tirocinio ne ho fatto un altro a Pesaro, dove lavoravo come facchino – prosegue il suo racconto -. Avevo fatto un corso specifico a Milano e poi ho conseguito anche la licenza media. Quando non sono al lavoro vado a correre o gioco a calcio nella squadra del Villaggio del Fanciullo. Mi piace molto anche scrivere canzoni e ho fatto parte del gruppo di rapper migranti che ha composto e cantato “Benkelema”. A Bologna mi trovo molto bene, le persone sono gentili. Spesso vado in Sala Borsa a prendere in prestito dei libri in inglese. Non ho molto tempo libero ma mi piacerebbe studiare, magari economia”.
I mesi di angoscia per il permesso di soggiorno diventeranno presto solo un altro brutto ricordo. “La questione dei documenti mi faceva girare la testa, perché non sapevo mai se quelli che avevo erano validi al 100% – racconta -. Per questo spesso restavo a casa, cercavo di non uscire troppo per non trovarmi a dover dare spiegazioni complicate. Solo che quando restavo a casa poi pensavo a cose brutte, tornavano i ricordi del passato e l’ansia per il futuro. L’unico posto dove mi sentivo davvero felice era qui al lavoro, perché ero insieme a tanta altra gente con cui stavo bene. Qui anche ora mi sento uguale agli altri e dimentico tutti i problemi”.

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