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Imparare a essere un punto d’appoggio con la formazione per l’accoglienza in famiglia

“Mi ricordo il giorno in cui ci hanno detto il nome del ragazzo che sarebbe venuto a vivere con noi: Mamadou. Non l’avevamo ancora conosciuto, non sapevamo che faccia avesse. Quando giravamo per Bologna, ci guardavamo intorno e, se vedevamo un ragazzo africano, ci dicevamo: chissà, magari sarà lui!”. Martina ha la voce emozionata quando ripercorre le tappe che hanno portato lei e la sua compagna Donatella ad accogliere in casa Mamadou, detto Bobo, 18 anni, originario della Guinea Conakry.

Le due hanno preso parte al progetto di vicinanza solidale Vesta, realizzato dalla cooperativa sociale Cidas in collaborazione con ASP Città di Bologna e il Comune di Bologna. Prima ancora di cominciare la convivenza, però, Martina e Donatella hanno fatto la formazione e hanno vissuto l’attesa per questo nuovo inizio. “In casa abbiamo cercato di creare una dimensione familiare”, spiega Donatella. “La stanza di Bobo prima era il nostro saloncino, l’abbiamo arredata apposta per lui. Abbiamo comprato i mobili e li abbiamo montati noi, uno per uno. È stato un momento che ci ha fatto entrare nell’ottica che, dopo poco, la nostra famiglia si sarebbe allargata”. Il risultato ha sorpreso Bobo, che la prima volta che è entrato nella sua nuova casa è rimasto senza parole: “Non pensavo di avere uno spazio così. Il letto era una piazza e mezzo, non ero abituato a un letto così grande”.

Il progetto Vesta punta a creare una rete di relazioni sul territorio che vada oltre il supporto dei servizi: ai cittadini vengono proposti percorsi che variano in base al tempo e alla disponibilità della persona, con il supporto costante di un team composto da assistenti sociali, educatori, consulenti legali, psicologi e antropologi. “La formazione per l’accoglienza in famiglia di minori, neomaggiorenni e giovani adulti e adulte riprenderà a maggio”, spiega Marina Misaghi Nejad, che per Cidas è parte dell’équipe di vicinanza solidale di Vesta. “Le famiglie si possono candidare sulla piattaforma: sono previsti quattro incontri, nei quali racconteremo cos’è il progetto SAI e la rete dei servizi, spiegheremo come funziona l’accoglienza in famiglia e faremo alcuni esercizi pratici sull’elaborazione degli stereotipi e sull’incontro con l’altro”.

Dopo la formazione, ogni famiglia può scegliere liberamente se intraprendere l’esperienza di convivenza e ospitare nella sua casa una giovane persona rifugiata, per accompagnarla nel suo percorso di autonomia. “Prima di fare il matching cerchiamo di conoscere in profondità sia il ragazzo o ragazza sia la famiglia, per fare in modo di mettere insieme persone con ritmi e attitudini compatibili”, racconta Giulia Comirato, anche lei parte dell’équipe di vicinanza solidale di Vesta.

È quello che è successo anche a Martina e Donatella: dopo aver fatto la formazione, a novembre 2022 finalmente è arrivato l’abbinamento. “Il primo incontro è stato divertente”, ricorda Donatella. “Siamo subito entrati in confidenza”. Da quel momento, per Bobo è iniziato un conto alla rovescia dei giorni che mancavano per potersi trasferire. “Non vedevo l’ora”, racconta. “Avevo 17 anni, avevo voglia di un cambiamento. La prima volta che sono stato a casa loro non volevo più andare via”.

A gennaio 2023, finalmente, ha traslocato. La convivenza è subito partita con il piede giusto: Bobo studiava all’istituto professionale per la qualifica di meccatronica, faceva atletica, frequentava i suoi amici, era molto indipendente. Ma ogni sera, a cena, era presente per mangiare insieme a Donatella e Martina: il momento per raccontarsi le loro giornate. “Nessuno è da solo nella vita, creare un senso di comunità è importante”, dice Donatella. “Prendersi cura e pensare anche agli altri è un modo per stare bene”.

Giorno dopo giorno, Martina, Donatella e Bobo hanno imparato a conoscersi e hanno scoperto le passioni l’uno dell’altra. “Bobo mi ha accompagnato a tante mostre d’arte, anche contemporanea”, racconta Donatella. “La prima volta mi ha detto: ‘Ma a cosa serve questa roba?’ Io in effetti non sapevo che rispondere. La cosa bella dell’accoglienza in famiglia è che ti obbliga a rimettere tutto in prospettiva, reimparare cose che dai per scontate, e vederle da un punto di vista diverso”.

Oltre alle esperienze quotidiane, i tre hanno condiviso anche momenti speciali: la visita al museo Ferrari, il giro nella fabbrica della Lamborghini, ma soprattutto i viaggi. “Con loro ho preso il mio primo aereo”, racconta Bobo. “Ero emozionato, ho voluto fare un video per riprendere tutta la partenza, durava 6 minuti. Poi l’ho cancellato, ormai è diventata una cosa normale”. Insieme sono andati in Riviera romagnola, a Milano, in Sardegna, e due volte in Sicilia. “Io sono originaria di Augusta, in provincia di Siracusa, una città di mare”, racconta Martina. “Mio padre ha una barchetta, siamo andati a pescare. È stato molto divertente”. In casa c’era anche un nipotino di tre anni, Tommaso, che adorava Bobo: “Veniva da me e voleva sempre giocare”, dice Bobo. “Mi faceva divertire, ma quando ero stanco non lo sopportavo più”.

A giugno del 2023 Bobo si è diplomato, e il mese dopo ha subito trovato lavoro nell’azienda dove aveva svolto il tirocinio. L’11 dicembre, ha compiuto 18 anni. “Il suo percorso verso l’autonomia era praticamente concluso, mancava solo un passaggio: trovare una casa tutta sua”, dice Giulia, che ha seguito il percorso di accoglienza in famiglia di Bobo. “Gli abbiamo consigliato di iniziare a guardarsi intorno, perché a Bologna il mercato degli affitti è molto competitivo. Ma in pochi mesi è riuscito a trovare una soluzione”.

Il 6 aprile scorso, Bobo si è trasferito: oggi vive con una coinquilina in un appartamento che si trova vicino al lavoro, alla pista di atletica e alla moschea. “La posizione è perfetta”, dice. “L’altra sera ero da solo, mi sono messo a guardare un film e ho pensato: eccoci qui, questa è la mia prima casa”. Ma il suo legame con Martina e Donatella non è finito, anzi: per la prossima estate hanno già in programma un viaggio insieme a Parigi. “Senza di loro non avrei potuto fare quello che ho fatto”, conclude Bobo.

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