“Non avevo mai mangiato la pizza in Pakistan. La prima volta che l’ho assaggiata ero appena arrivato a Bologna: mio fratello era venuto a prendermi in autostazione e io avevo un sacco di fame. Nel primo bar ho preso al volo un triangolo di pizza: era fredda, non mi è piaciuta molto. Ho pensato: ‘Quindi sarebbe questa la famosa pizza italiana?’” Hussain ride mentre racconta questo aneddoto e intanto con le mani lavora una pallina di impasto chiaro. Lo fa velocemente, con un movimento meccanico di chi ha ripetuto quel gesto migliaia di volte. “Adesso ho imparato la lezione: la pizza deve essere di qualità, se no i clienti non tornano. Io uso un impasto multicereali fatto di farina di segale, semola, avena, e faccio la lievitazione in biga, che dura 60 ore. Il risultato è la classica pizza napoletana, quella alta, con il cornicione”.
Fa strano vedere un giovane come Hussain, che ha solo 19 anni, parlare in maniera così tecnica di impasti, lavorazioni, tipi di lievitazione. Fino a pochi anni fa non sapeva niente di pizza, poi nel 2021 è arrivato in Italia ed è stato accolto a Bologna in una struttura del progetto SAI: il caso lo ha portato qui, nella pizzeria Azzipizza di via Frassinago – che a quel tempo si chiamava Il Monello – dove ha svolto il suo stage come pizzaiolo, dopo aver seguito un corso professionalizzante. Finito il percorso, per un po’ ha fatto le consegne con il motorino, poi ha gestito il locale, fino a scegliere di fare il grande passo e rilevare l’attività insieme a suo fratello gemello, Hassan. Così Hussain oggi è un giovanissimo imprenditore, che con la pizzeria dà lavoro a sei persone: a vederlo sembra un uomo fatto e finito, con i suoi modi sicuri e la camicia blu con il colletto alla coreana, mentre il volto è ancora quello di un ragazzo, il viso rotondo, i capelli rasati di lato.
“La cosa che mi ha colpito fin da subito è stata la loro caparbietà”, racconta Stefania Borzillo, che ha insegnato italiano a Hussain e Hassan quando erano appena arrivati in Italia e studiavano per prendere la licenza media. “Non parlavano una parola di italiano ma a scuola erano molto volenterosi: volevano fare esercizi in più e si arrabbiavano se qualcuno disturbava la lezione, il che era abbastanza strano, visto che avevano solo 17 anni. Mi ricordo che si erano fissati sulla differenza tra il passato prossimo e l’imperfetto: ci eravamo scambiati i numeri e su Whatsapp mi chiedevano schede in più, poi mi scrivevano per sapere se le avevo corrette”.
In classe le insegnanti facevano fatica a distinguere Hussain da Hassan. A vederli sembrano quasi identici, ma conoscendoli hanno due caratteri molto diversi: Hussain è più scherzoso e aperto, Hassan più serio e introverso. “Ci compensiamo”, scherza Hussain. “Io e mio fratello siamo partiti insieme da Peshawar, la nostra città natale in Pakistan, quando avevamo 14 anni. Il nostro viaggio è durato tre anni: abbiamo attraversato Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia, e alla fine siamo arrivati in Italia. È stato un viaggio incredibile, fatto per lo più a piedi o con mezzi di fortuna. Uno scrittore, Claudio Scarola, ci sta scrivendo un libro: ci abbiamo messo cinque mesi di interviste per raccontargli tutto”.
Arrivati a Bologna alla fine dell’estate del 2021, i due fratelli sono stati accolti all’interno del progetto SAI in una comunità per minori stranieri non accompagnati, Sabir, gestita dalla cooperativa Csapsa2. “Da subito Hussain e Hassan hanno mostrato un forte desiderio di integrazione”, racconta Dario Trentini, operatore di Csapsa2. “Sono riusciti a instaurare forti legami con le persone, e questo gli ha aperto le porte verso una nuova città, una nuova lingua, un nuovo paese”.
La loro vita è cambiata quando hanno incontrato Domenico Tridico, proprietario della pizzeria che a quel tempo si chiamava Il Monello (oggi Azzipizza), che ha scommesso su di loro, dandogli sempre più responsabilità. “Ricordo ancora quando Domenico mi ha chiamato e mi ha detto che voleva chiudere”, racconta Hussain. “Mi ha consigliato di cercarmi un altro lavoro. Io invece ho telefonato alla mia famiglia in Pakistan e ho chiesto aiuto: mio nonno ha deciso di prestarci un po’ di soldi, e così abbiamo rilevato l’attività”.
La partenza però è stata dura. All’inizio gli ordini erano pochi, e i ritmi di lavoro sfiancanti. “Comincio di lavorare alle 8 del mattino e finisco all’una di notte”, racconta Hussain. “Per prima cosa arrivo nel locale, controllo gli ingredienti che mancano e vado a far la spesa, poi mi metto a impastare, impallinare e stendere le pizze al taglio per il pranzo. Alle 12 arrivano i primi clienti e i primi ordini per le pizze da asporto. Il pomeriggio vado a fare lezione del corso per la somministrazione di alimenti non artigianali, poi alle 17.30 torno in pizzeria per il turno di sera. Alle 22.30 di solito smettiamo di prendere ordini: a quel punto ci mettiamo a pulire e preparare l’impasto da mettere in lievitazione per i giorni successivi”.
Grazie al loro duro lavoro, i fratelli hanno visto crescere la loro attività. “Adesso arriviamo anche a 80 ordini al giorno. Abbiamo lavorato sulla qualità, abbiamo investito in pubblicità e abbiamo fatto delle promozioni, come quella del mercoledì con tutte le pizze a sei euro: ci sono sere in cui dobbiamo chiudere perché finiamo tutti gli ingredienti”. Non solo: dopo Azzipizza, questa estate Hussain e Hassan hanno deciso di rilevare anche una seconda pizzeria a Senigallia, sulla costa marchigiana, sempre con l’aiuto di Domenico Tridico. “Nella vita esistono delle difficoltà, questo è vero”, conclude Hussain. “Ma tutto è superabile. Basta volerlo”.
Ultima modifica 27 dic. 2023