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Un’ esperienza di accompagnamento di comunità

Bologna, periferia est della città. Su una strada a scorrimento veloce si trova un casolare ora ristrutturato. Appena varcata la soglia si sente il profumo di cibo, le risate, la concitazione di una partita di biliardino che si sta per concludere. “Questo gol non è valido! Rifacciamo!” Oltre ai dodici ragazzi che abitano a Casa Pederzana, struttura di accoglienza per minori stranieri non accompagnati e neomaggiorenni che fa parte del Progetto SAI del Comune di Bologna, coordinato da ASP Città di Bologna, ci sono due operatori di Cidas, che ha in gestione il servizio, e tre volontarie del progetto Vesta, che hanno partecipato a un percorso di affiancamento di comunità. Si chiamano Asya, Licia e Vittoria. Dall’estate 2024 hanno frequentato la comunità e i beneficiari accolti, e con loro hanno organizzato tante attività fuori e dentro la struttura: pranzi, cene, partite di calcio, sfide a bowling, tornei di carte, giornate in piscina, pomeriggi di giardinaggio, visite ai musei.

“È come se fossimo un po’ le zie”, sorride Licia. “Tante volte mi sono interrogata sul nostro ruolo, alla fine non siamo operatrici e non portiamo neanche un contributo economico. Oltre a passare insieme dei momenti leggeri e di divertimento, il nostro compito è quello di aprire a questi ragazzi le porte del nostro territorio, creare situazioni che permettano loro di conoscere nuove persone e nuove realtà”.

Il progetto Vesta punta a creare una rete di relazioni sul territorio che vada oltre il supporto dei servizi: ai cittadini e alle cittadine vengono proposti percorsi che variano in base al tempo e alla disponibilità della persona, con il supporto costante di un team composto da assistenti sociali, educatori, consulenti legali, psicologi e antropologi. Oltre all’accoglienza in famiglia esiste anche il percorso dell’affiancamento familiare, individuale o di comunità, che consiste nel passare tempo insieme, contribuendo ad arricchire il progetto educativo e di integrazione dei giovani coinvolti.

“Quando arrivano Asya, Licia e Vittoria sono felice”, dice Malik, 18 anni compiuti lo scorso gennaio. Nato e cresciuto in un villaggio in Gambia, chi lo conosce lo descrive come un ragazzo paziente, disponibile e saggio, nonostante l’età. “La cosa che mi è piaciuta di più è stata la partita di bowling. L’ultima volta ho vinto io. Nel mio paese non ci avevo mai giocato, ma ho una buona mira: in Gambia ci sono alberi molto alti, per far cadere i frutti devi tirare un sasso e colpirli con precisione”. Oggi Malik sta studiando per la licenza di terza media, poi vorrebbe sperimentarsi nel settore dell’autoriparazione. Quando ha tempo libero gli piace allenare una squadra di calcio di suoi connazionali, con cui trascorre quasi tutti i weekend. “Quando siamo andati a vedere la partita di calcio di mio nipote, Malik si è fermato con lui per commentare il risultato e dargli qualche consiglio”, racconta Vittoria. “Quel pomeriggio era venuta anche mia madre, i ragazzi avevano chiacchierato con lei, era stato divertente”.

Idrissa, dal Senegal, racconta: “A me piace tanto il calcio. Quando passiamo tempo tutti insieme, giocherei sempre a calcio”. Idrissa, 17 anni, ha un atteggiamento serio e pacato, e si riempie la giornata di impegni perché non riesce a fermarsi mai. Anche lui vive a Casa Pederzana, studia per ottenere la licenza media, mentre si impegna in un corso professionale di autoriparazione.

“Per me invece la cosa più bella è stata giocare a ‘merda’!” “Sì sì, anche per me!”, ridono insieme Elsayed dall’Egitto, e Ayoub dalla Tunisia, entrambi di 17 anni. Elsayed sta frequentando la scuola edile di Bologna, e ha ricevuto una pagella con voti altissimi in tutte le materie. Ayoub invece è arrivato da poco a Casa Pederzana, e sta frequentando contemporaneamente tre scuole di italiano sul territorio bolognese. Gli piacerebbe diventare un parrucchiere.

“Nei telegiornali sentiamo spesso parlare dei migranti che attraversano il mare”, racconta Vittoria. “Pensare a ragazzi così giovani che arrivano da soli nel nostro Paese, senza conoscere nessuno, senza una rete, mi ha scosso. Volevo fare qualcosa”. Vittoria ha 52 anni, è nata e cresciuta a Bologna, ha un marito e un figlio di 11 anni, e lavora in una compagnia di assicurazioni. Nel suo tempo libero voleva fare la sua parte. “Mi sono decisa e ho preso contatti con il progetto Vesta. Quando mi hanno proposto l’affiancamento di comunità l’ho accolto con gioia, anche se avevo un po’ di ansia, non sapevo come approcciarmi a questi ragazzi, cosa dirgli. Avevo paura di essere troppo invadente, inopportuna. Loro hanno storie che non posso neanche immaginare”.

Il primo incontro è avvenuto un pomeriggio d’inizio estate. Licia, Vittoria e Asya sono arrivate a Casa Pederzana per trascorrere insieme un pomeriggio, fare merenda insieme, ascoltare la musica. “Ricordo che, per rompere il ghiaccio, abbiamo parlato di ricette tipiche, anche di calcio”, spiega Vittoria. “Io non so niente di sport, ma qualcosa ti inventi, Ronaldo, Maradona… fin lì ci arrivo”.

“Nel tempo la relazione si è consolidata”, continua Asya, 27 anni, che nella vita fa l’impiegata. “Basta poco: una palla, delle carte, un biliardino. Poi una cosa tira l’altra. Fin da piccola ho sempre voluto fare la mia parte e dare un contributo, ho iniziato con un’associazione ma non si andava sul campo, così ho contattato il progetto Vesta. È stata una continua scoperta”.

Lo scambio arricchisce entrambe le parti, non solo i giovani rifugiati e richiedenti asilo che vogliono conoscere meglio la cultura italiana. “Io ho imparato tantissimo da loro”, afferma Licia, 43 anni, archeologa che negli ultimi anni si è avvicinata sempre di più al mondo del sociale. “Passando tempo con i ragazzi ho conosciuto ad esempio tanta musica di altri paesi, come Samara, un rapper tunisino che adesso non può mancare nella nostra playlist quando andiamo in macchina insieme. Sono felicissima, è uno scambio continuo”.

Per Natale hanno fatto una grande festa con tanto di cenone, giochi di società e una tombola con piccoli premi, che ha creato un’atmosfera calorosa. “Ognuno ha cucinato qualcosa di tipico della sua tradizione”, racconta Asya. “Abbiamo apparecchiato con la tovaglia rossa, poi dopo mangiato abbiamo giocato a tombola, i ragazzi erano presissimi”.

Anche gli operatori di Cidas confermano che, quando arrivano le tre volontarie del progetto Vesta, il clima nella comunità cambia completamente. “Ci sono ragazzi che di solito passano molto tempo chiusi in camera che improvvisamente usufruiscono degli spazi comuni, altri molto timidi che partecipano all’attività… la casa si riempie di colori”, spiega Simone Balestrieri. “La loro presenza rappresenta un momento di gioia. Il valore aggiunto è proprio quello: loro non sono qui per lavorare, sono qui per trascorrere del tempo di qualità. È l’esterno che vede l’interno, un modo per collegare la società alla comunità: i ragazzi se no fanno fatica a conoscere persone italiane, e finiscono per stare sempre con gli stessi amici connazionali”. E aggiunge Martina Vallorani: “Noi operatori facciamo fatica a organizzare attività sociali in comunità, la priorità è dare risposte alle esigenze di dodici persone, e non sempre c’è tempo per il momento ricreativo. Invece con Vittoria, Licia e Asya siamo riusciti a organizzare tante cose, abbiamo preparato la pizza, i biscotti, il pollo al curry… Metterli seduti a tavola tutti e dodici, nello stesso momento, è un’impresa davvero titanica”, ride. “Ma è così anche nelle grandi famiglie, no?”

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