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Il cammino di Fulo verso il recupero della fiducia in sé stesso

Ogni mattina, appena sveglio, Fulo va in cucina, mette l’acqua sul fuoco e aspetta. Quando bolle aggiunge l’Ataya, un tè alla menta tipico del suo paese, e lo zucchero bianco: per mischiarlo travasa il liquido da un bicchiere all’altro, con calma e precisione, per diverse volte. “Più densa è la schiuma, migliore è il tè”, spiega. Dopodiché lo assapora lentamente. È il rituale che cadenza le sue giornate: tè prima di andare al lavoro la mattina, tè appena rientrato a casa la sera. Da quando è in Italia Fulo, che ha una disabilità ed è accolto nel progetto SAI per persone vulnerabili, ha sperimentato diverse professioni: magazziniere, fattore, taglialegna, addetto alle pulizie… ma il tè è sempre stata la cornice che separa due momenti di vita: il lavoro e il riposo.

“Sono nato in Gambia, in una piccola città che si chiama Lamin, 29 anni fa”, racconta con la voce roca e pacata. “Sono arrivato in Italia, a Lampedusa, con la barca: era il 26 maggio del 2017”. Come la maggior parte dei migranti giunti nel nostro paese mettendo a rischio la propria vita in mare, anche Fulo ricorda perfettamente la data del suo sbarco. Come se fosse una seconda data di nascita, l’inizio della sua nuova vita. “Appena ho visto la terra ero felice: la barca era rotta e stava entrando tanta acqua, pensavo di morire”, ricorda. Fulo è timido, guarda in basso e dà risposte molto brevi. Parla poco l’italiano, ma lo capisce benissimo.

Quando è arrivato in Italia non conosceva nessuno, ma con il tempo si è costruito la sua rete. Ha vissuto prima a Bologna, poi a Modena, a Carpi e infine a Granarolo dell’Emilia, in una struttura di accoglienza gestita dalla cooperativa Arca di Noè (partner del Consorzio L’Arcolaio), nell’ambito del Progetto SAI del Comune di Bologna coordinato da ASP Città di Bologna. “Non ho mai pensato di andare via dall’Italia in un altro paese”, dice. “Bologna mi piace tantissimo, la vita quotidiana è bella, ci sono tante opportunità”. Fulo è molto serio, ma quando sorride gli si illumina il volto.

“Il primo lavoro che ho trovato era all’interporto, facevo il magazziniere”, racconta. “Era molto faticoso”. Fulo allora è stato supportato dagli operatori e dalle operatrici dell’Area Formazione e Riqualificazione professionale, Orientamento e Accompagnamento all’Inserimento lavorativo dello stesso progetto SAI. “Fulo non può fare sforzi, per via dei suoi problemi fisici: per questo abbiamo dovuto escludere una serie di lavori e la ricerca di un’occupazione è stata più difficile”, spiega Costanza Preziosi, che ha seguito il suo percorso per conto della cooperativa sociale Abantu, una delle realtà del terzo settore impegnate nel servizio. “Lui è molto affidabile, arriva sempre puntualissimo e si ricorda di tutti gli appuntamenti. È molto metodico: può sembrare silenzioso, ma quando ‘si scioglie’ sa creare delle belle relazioni con chi gli sta intorno”.

Così Fulo inizia un tirocinio in una fattoria: lavora con gli animali, prepara il mangime, pulisce le stalle. Un’esperienza molto positiva, che si conclude dopo sei mesi. Successivamente viene assunto con un contratto a tempo determinato in un’azienda agricola a Sasso Marconi, sull’Appennino bolognese: “Tagliavo la legna”, racconta. “Il primo giorno me ne hanno portata tantissima, ho finito tutto, ma la schiena mi faceva male”. Due mesi dopo Fulo decide di cambiare, anche perché per raggiungere l’azienda ci voleva più di un’ora con l’autobus.

Tutte le esperienze fatte hanno permesso a Fulo di sperimentarsi in diversi contesti di lavoro, consentendogli di recuperare la fiducia nelle proprie capacità e acquisirne di nuove, di riuscire a muoversi nel territorio in autonomia e costruire relazioni positive.

Il suo percorso prosegue con la collaborazione sinergica del progetto SAI con altre realtà istituzionali, quali l’Ufficio di Collocamento Mirato e i Servizi Sanitari del territorio. Oggi Fulo ha un lavoro adatto a lui, è assunto con un contratto a tempo determinato in una cooperativa sociale con il sostegno dei contributi del Fondo regionale disabili*.

“Faccio le pulizie, due ore la mattina e due il pomeriggio”, dice. “Intanto continuo a studiare l’italiano: ho sempre con me il dizionario inglese-italiano, per imparare nuove parole”. Nel frattempo, Fulo sta conquistando ogni giorno nuove autonomie: raggiungere il posto di lavoro da solo con i mezzi pubblici, comunicare con il proprio datore di lavoro in italiano, chiedere aiuto e segnalare i problemi, quando si presentano. “È stato un percorso lungo e faticoso, ma alla fine ci siamo riusciti”, dice soddisfatta Costanza. Il contratto scadrà a gennaio 2025. “Il mio sogno è quello di continuare a lavorare, trovare una casa in affitto e rimanere a Bologna”, conclude Fulo. “In Gambia mia madre è sola con le mie sei sorelle: voglio continuare ad aiutare la mia famiglia, fanno affidamento su di me”.

Alice Facchini

*Al Fondo Regionale Disabili sono destinati i contributi versati dai datori di lavoro a fronte delle procedure di esonero e gli importi delle sanzioni amministrative previste dalla legge n. 68 del 1999 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, oltre ai contributi di fondazioni, enti pubblici e soggetti privati. Le misure previste dal Fondo hanno lo scopo di incentivare l’inserimento in tirocinio, l’assunzione e il consolidamento dei rapporti di lavoro delle persone con le caratteristiche di disabilità descritte all’articolo 1 della legge 68/99.

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