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Yoruma, l’integrazione di un prezioso “tuttofare”

Yoruma sta al tornio per otto ore al giorno e si ritiene molto fortunato perché ha un lavoro che lo rende indipendente e gli procura nuovi amici. Viene dal Togo, ha 37 anni, ma si considera nato un anno e mezzo fa, quando è arrivato in Italia. Del passato non vuole parlare, “troppo dolore” dice, ma il presente che sta vivendo gli piace molto e sul futuro nutre grandi speranze. Per lo stesso motivo non vuole farsi fotografare frontalmente ma, essendo una persona gentile, non si sottrae e accetta di farsi ritrarre di spalle, con il cappellino da baseball da cui non si separa mai sempre ben calato in testa. I suoi occhi grandissimi si soffermano allora su di un quadro alla parete della saletta dell’associazione Mondodonna del quartiere Porto-Saragozza, che lo assiste, raffigurante un volo di farfalle. Un’immagine che fa sognare l’avvio di una vita migliore. Ma Yoruma sa stare con i piedi per terra: il suo obiettivo è fare un passo alla volta per concludere l’iter che gli darà lo status di rifugiato.

Voler lavorare anche per il bene comune

Il primo impegno l’ha preso con se stesso: mai stare con le mani in mano, anche se la condizione è precaria e non si ha la certezza del risultato. Non parla ancora bene l’italiano, quando può comunica in francese ma, sebbene in difficoltà nell’esprimersi con la lingua, il lavoro l’ha trovato da solo, senza il contributo degli operatori dell’associazione che lo segue. “Sono un elettricista – dice –. Al mio Paese ho fatto un corso di due anni per imparare il mestiere e questo è il lavoro che so fare e che mi piacerebbe continuare a fare in Italia, anche se adesso sto imparando a fare l’operaio metalmeccanico e sono contento di lavorare in un’officina”.

Yoruma ha ben chiare le regole della convivenza sociale, sa come si deve vivere in comunità e quanto sia importante collaborare. Perciò, quando non aveva ancora il lavoro in fabbrica, si dava da fare in tutti i modi, magari riparando un elettrodomestico a casa di un vicino o spazzando le foglie nel cortile del condominio senza che nessuno glielo chiedesse. Proprio questo gesto semplice e spontaneo gli è valso la chiamata per un lavoro vero. Un vicino l’ha notato prendersi cura delle parti comuni della casa e ha pensato che quel ragazzo sarebbe stato un ottimo operaio nell’officina meccanica di una sua conoscente che cercava personale. E lui ha subito dimostrato di saper mettere in pratica le proprie competenze e di volerne sviluppare altre. Così ogni giorno prende il pullman per andare a lavorare in un’azienda di Crespellano.

Apprezzato per il carattere collaborativo

Ma il percorso di Yoruma in Italia non è stato semplice. “Sono arrivato il 21 novembre 2016 – ricorda – e dapprima mi hanno portato in una struttura di Trento, poi a Bologna per due mesi all’HUB di via Mattei e quindi al CAS Milliario. A ottobre 2017 è stato spostato a Vergato, nella casa di accoglienza SPRAR Casa Amaranta gestita da Mondodonna. Si tratta di due appartamenti, uno abitato da una famiglia e l’altro da cinque giovani uomini. “In casa eravamo tutti di nazionalità diversa – dice – ma andavamo d’accordo”.

Soprattutto Yoruma riesce a farsi apprezzare dai cittadini di Vergato, dai vicini di casa. Lo testimonia uno di loro, Antonio Rampi, che racconta al telefono: “Ho notato questo ragazzo che si dava sempre da fare per tutti e così l’ho segnalato alla proprietaria dell’appartamento, Roberta Neri, che è un’imprenditrice e cercava personale per la sua azienda di Crespellano, la Gierre srl, che produce componenti meccanici per automobili. Lei l’ha messo alla prova e ne è stata soddisfatta, ha deciso di assumerlo. Allora ho detto a Yoruma: “Guarda che certe occasioni passano una sola volta, cerca di coglierla perché avere un lavoro sarà ciò che ti potrà consentire di rimanere in Italia”. Lui ha capito e ha colto al volo l’opportunità, malgrado la lontananza dall’azienda e la necessità di alzarsi prima dell’alba per raggiungerla”.

Integrazione alla bolognese di un prezioso “ciappinaro”

La distanza tra Vergato e Crespellano, fino a qualche settimana fa, era affrontabile perché a Yoruma veniva dato un passaggio da un altro operaio del Ghana che ha la macchina e alloggiava pure lui a Casa Amaranta. Ma ora il collega, essendo in procinto di sposarsi, andrà a vivere altrove con la sua famiglia. Per questo motivo Yoruma è stato trasferito presso la struttura SPRAR Casa Jacaranda dell’associazione Mondodonna a Bologna, in modo che possa raggiungere in autonomia con i mezzi pubblici il luogo di lavoro. Il suo prossimo obiettivo è prendere la patente per potersi spostare come vuole. “A Bologna ho tanti amici, ci sono molti ragazzi togolesi che vengono qui per studiare all’università. Ci frequentiamo, andiamo a divertirci insieme, parliamo di storie del passato nel nostro Paese, della politica. Ho tanti amici anche italiani perché mi presto a dare una mano a fare lavoretti in casa e loro apprezzano”. L’operatore che l’accompagna spiega che Yoruma ha le mani d’oro, sa fare un po’ tutto, dai lavori elettrici al montare i mobili dell’Ikea. Insomma, è a tutti gli effetti quello che a Bologna si definisce un “ciappinaro”, figura preziosa di tuttofare, punto di riferimento del condominio e del giro di conoscenti. A Yoruma questa definizione piace molto, lo fa sentire apprezzato e integrato.

Ma è ora di prendere il pullman per andare al lavoro, oggi ha il turno di pomeriggio. Ci saluta, ma poi torna indietro per promettere che la prossima volta, quando avrà finalmente ottenuto la sicurezza di poter rimanere in Italia, ci racconterà del suo passato doloroso vissuto nel suo Paese. E si farà fotografare di fronte, con lo sguardo dritto nell’obiettivo.

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